Storia: Speculazioni aziendali

Sequenza dei casi aziendali (in ordine cronologico):

  • 1) IL CASO “SEAT PAGINE GIALLE” – 2012 (dal sito ECONOMY2050)
  • 2) IL CASO “MONTE DEI PASCHI DI SIENA” – 2013 (dal sito BYOBLU).

 

 

1) IL CASO “SEAT PAGINE GIALLE” (dal sito ECONOMY2050).

IL DEFAULT DI SEAT PAGINE GIALLE: UN ESEMPIO DI FINANZA APPLICATA ALL’ECONOMIA REALE.

La storica azienda di elenchi telefonici ha chiesto il concordato preventivo, epilogo di una triste storia di finanza speculativa applicata ad un’impresa sana e vitale. Azienda letteralmente lasciata morire per pagare interessi e commissioni che nulla avevano a che fare con la sua attività industriale.

La storia di Seat Pagine Gialle è il paradigma dei danni prodotti negli ultimi decenni dalla finanza speculativa quando applicata all’economia reale: distruzione di valore economico che si aggiunge ai disastri causati dalle scorribande  condotte direttamente sui vari mercati finanziari (date le maggiori dimensioni, sono soprattutto queste ultime ad attirare l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica).

Seat è un caso classico di una buona, forse ottima, azienda finita nelle mani di investitori speculativi che ne hanno spolpato la sana anima industriale per drogarla con gli steroidi della finanza, fino a condurla ad un destino di lenta ma inesorabile default.

LA STORIA DI SEAT:

Seat, Società Elenchi Abbonati al Telefono, iniziò a pubblicare gli elenchi nel 1926, sul modello delle Yellow Pages americane. La proprietà era pubblica, ma negli anni Novanta se ne decise la cessione ai privati: nel 1996 il Tesoro incassò 1.643 miliardi di lire (circa 850 milioni di euro) da un gruppo di investitori (Telecom Italia, Bain capital, Banca Commerciale Italiana, De Agostini, Investitori associati, Bc Partners, Cvc, Abn Amro ventures e Sofipa).  Dopo soli quattro anni Telecom paga ai partner 13mila miliardi di lire (quasi 10 volte il prezzo della privatizzazione).

La società nei momenti magici della new economy in borsa a cavallo del 2000, valeva oltre 26 miliardi di euro, quasi il doppio della Fiat (di allora). Le azioni toccarono nel febbraio del 2000 il record di  6,86 euro: un valore da tenere a mente, alla luce degli sviluppi successivi che descriveremo. Se si fosse trattato di semplici valutazioni di borsa troppo generose, il titolo sarebbe sceso e gli azionisti sarebbero stati un po’ meno ricchi, ma l’attività industriale sarebbe proseguita.

La storia di Seat è un’altra: una serie di manovre e speculazioni hanno provocato una agonia di fatto durata un decennio, agonia indotta sostanzialmente da debiti accollati a Seat ma non contratti nel suo interesse. In sostanza la società è entrata nel mirino di fondi di private equity (cosiddetti “locuste”) che si sono più volte passati il controllo dell’azienda, caricandola ad ogni passaggio di un fardello sempre maggiore di debiti.

Nel 2003 Telecom decise di vendere le Seat, cedendola ad una cordata tutta composta da fondi. E’ questo il momento simbolico dell’inizio della fine.

IL LEVARAGE BUY OUT (ACQUISTO SENZA SOLDI):

Seat ha avuto la sfortuna di essere particolarmente appetibile per i fondi locusta, quei fondi che hanno l’obiettivo di estrarre valore (monetario, di breve periodo) da un’azienda, comprandola e rivendendola rapidamente,infischiandosene del suo destino industriale. La società, a causa della capacità di generare grandi flussi di cassa, era una preda perfetta per i fondi locusta: la copiosa liquidità consentiva ai fondi di acquistarla e di caricare sul suo bilancio (sotto forma di debito) il costo della sua stessa acquisizione. Ad ogni passaggio di proprietà i fondi guadagnavano qualcosa a danno del bilancio Seat.

Il chiaro esempio dei meccanismi finanziari adottati dai fondi locusta è il cambio di proprietà del 2003, quello che ha posto le premesse per il collasso attuale: i fondi di private equity Investitori Associati, Permira, Bc Partners e Cvc acquistarono in contanti per 3 miliardi di euro il 61,5% del capitale.  All’epoca la liquidità non era un problema, dati i tassi bassi e la disponibilità delle banche a finanziare acquisizioni a leva (senza soldi propri da parte degli acquirenti): Royal Bank of Scotland (Rbs) finanziò complessivamente l’operazione con alcuni miliardi di euro (si comprende anche da questo episodio per quali motivi l’istituto britannico sia stato uno dei primi a cadere a causa della crisi finanziaria esplosa dal 2007 in poi)!

L’operazione Seat è il classico caso di leverage buy out, l’acquisto di aziende con debito che poi veniva addossato all’azienda stessa, tanto di moda in quegli anni. Infatti l’anno successivo gli azionisti (i fondi stessi) deliberarono un dividendo complessivo di 3,57 miliardi: risorse che fuoriuscivano dalla società per entrare nelle tasche degli azionisti, che così recuperavano gran parte delle risorse utilizzate per la scalata di Seat (di fatto il costo dell’acquisizione veniva ridotto a soli 800 milioni). Seat per pagare il dividendo si indebitò: nel 2004 i debiti netti ammontavano a 3,9 miliardi (oltre 6 volte il margine operativo lordo). Un carico eccessivo per la sopravvivenza prospettica dell’azienda, ma non un aspetto essenziale per i fondi azionisti, intenzionati a rivendere a breve la società. Fatto sta che i 600 milioni di margine lordo generato ogni anno dall’azienda venivano assorbiti al 40% per pagare interessi.

LA CRISI:

Quando i tassi sono bassi e la liquidità fluisce sui mercati copiosa, analisti e operatori tendono a dimenticare cheun’azienda, anche la più profittevole dal punto di vista industriale, può morire a causa di un indebitamento eccessivo rispetto alla struttura operativa.

Nel 2006 i tassi hanno cominciato a salire e pian piano ci si accorse che Seat non aveva le potenzialità per ridurre in modo strutturale il suo debito entro un accettabile lasso di tempo. L’azienda, ripetiamo sana e profittevole nel suo business, è stata letteralmente schiacciata dagli oneri del debito, cui neanche i profitti dell’attività industriale sono riusciti a far fronte. La crisi dell’economia europea ha fatto da detonatore sui conti di Seat: se l’equilibrio dei conti era precario quando l’attività caratteristica funzionava alla grande, la struttura finanziaria è esplosa quando i margini hanno cominciato a scendere. Nel 2011, con un margine operativo lordo sceso a 370 milioni (dai 600 milioni dei tempi d’oro), il peso di svalutazioni e ammortamenti ha prodotto perdite per 790 milioni, a fronte di un enorme debito ancora da rimborsare.

Dal 2006 in poi, tra riscadenzamenti dei debiti, aumenti di capitale e declino della redditività industriale, le spire degli interessi sempre più alti (anche a causa del merito di credito in costante discesa) hanno lentamente strangolato Seat. L’epilogo non poteva che essere la conclamata incapacità di sostenere l’indebitamento.

L’ULTIMA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO:

Nel 2012 la società è riuscita ad accordarsi con i creditori per tagliare  il debito da 2,8 a 1,3 miliardi, ma subendo ancora una volta il fascino di certa finanza d’assalto. Neanche gli ultimi atti dell’agonia di Seat, infatti, sono stati al riparo dall’attenzione dei fondi speculativi: questi, infatti, hanno comprato per pochi spiccioli il debito Seat e ne hanno trattato la ristrutturazione, in modo da divenire azionisti all’88% (settembre 2012) quando parte del debito è stata trasformata in azioni (estromettendo i precedenti azionisti). La ristrutturazione del debito conclusa pochi mesi fa ha generato oneri per ben 70 milioni di euro a carico di Seat: 40 milioni di parcelle incassati dagli advisor finanziari e legali, 30 milioni per commissioni (consent fee) pagate ai detentori del debito per accettarne la ristrutturazione (diminuzione del valore nominale e trasformazione parziale in azioni).

Seat, in fin di vita, ha quindi dovuto pagare 70 milioni per una ristrutturazione del debito e un piano industriale di supporto che appena cinque mesi dopo la definitiva approvazione è già carta straccia. Ben 70 milioni su un giro d’affari di soli 646 (margine operativo sceso a 277 milioni) nel 2012: un ultimo colpo per estrarre le ultime risorse da un’azienda ormai condannata a morte certa.

L’EPILOGO:

All’inizio di febbraio Seat Pagine Gialle ha chiesto il concordato preventivo, sospendendo il pagamento di una cedola su obbligazioni da 42,2 milioni in scadenza al 31 gennaio e della rata su finanziamenti bancari in scadenza il 6 febbraio. Il debito in scadenza nel 2013 è di 200 milioni (130 di interessi e 70 in quota capitale): in cassa vi sono appena 100 milioni di euro e la liquidità che verrà generata in corso d’anno sarà di appena 50 milioni.

Il management ha preso atto che i numeri dei piano industriale redatto pochi mesi fa sono di pura fantasia: gli obiettivi 2011-2013 e le previsioni di target al 2015 non sono più raggiungibili alla luce dell’attuale situazione di mercato.
Fino a due mesi fa i top manager garantivano che, proprio grazie alla ristrutturazione del debito e al fresco piano industriale, Seat avrebbe avuto tre anni di tranquillità sul fronte dell’indebitamento: il primo grosso rimborso del debito (815 milioni), infatti, era stato posticipato al 2016.

Una resa attesa da tempo e solo adesso formalizzata. Il valore del titolo in borsa è a zero virgola qualcosa: dai picchi di quasi 7 euro del 2000, le quotazioni sono oscillate tra i 3,1 e i 3,8 euro sino al novembre del 2007, per poi attestarsi sui 0,75 euro durante l’estate 2008 e calare fino al minimo di 19 centesimi nel marzo 2009. Dopo un vano breve rialzo a 40 centesimi, il valore ha puntato con decisione verso quota zero.

LA STORIA DEVE INSEGNARE:

In sintesi i fondi negli anni hanno fatto indebitare Seat per ottenere benefici in termini di plusvalenze da continui passaggi di proprietà, mentre il management non è riuscito a trovare una strategia di uscita dalla situazione critica. Il cambiamento radicale del contesto di mercato, finanziario prima e commerciale poi, ha evidenziato gli errori cumulati nel tempo. L’azienda è stata costantemente spremuta con la distribuzione di consistenti dividendi e non si sono dedicate risorse (che pure ci sarebbero state, almeno sino ad un certo punto) agli investimenti per lo sviluppo.

Un caso da manuale sugli effetti di certa finanza applicata all’economia reale: creazione di valore per soggetti finanziari (e per i loro consulenti) animati solo da intenti speculativi di breve respiro a danno di una realtà produttiva sana. Il saldo finale è di evidente distruzione di ricchezza: è stata portata lentamente a spegnersi un’azienda in grado di generare stabilmente valore aggiunto (utili, salari, …), a fronte di benefici finanziari ad esclusivo vantaggio di soggetti esterni intervenuti con l’unico intento di appropriarsi del valore racchiuso nell’azienda stessa (in modo da condannarla a morte certa). Si potrebbe obiettare che l’ascesa e il declino di Seat rappresentino la classica  bolla di sapone creata dalle eccessive aspettative riposte in passato sulla new economy: tale interpretazione non ci convince, visto che le bolle di sapone di solito non distruggono aziende già ben funzionanti e con buone prospettive di sviluppo.

Noi di Economy2050 osserviamo che questo tipo di speculazioni a somma complessiva (economica e sociale) negativa sono di solito considerate in linea con lo spirito del mercato (prevale il più forte in un regime di concorrenza), e quindi accettate; secondo noi, al contrario, episodi come quello di Seat impongono qualche riflessione sul ruolo e sulle finalità della finanza applicata all’economia reale. Nei casi in cui un’azienda sana e in grado di stare sul mercato viene aggredita e sopraffatta da veri e propri parassiti (fondi locuste), a nostro giudizio bisognerebbe somministrare degli antibiotici in grado di spazzare via i parassiti in tempo utile per non far morire l’impresa: pertanto riteniamo che delle regole che impediscano evidenti scempi in termini di distruzione di valore andrebbero rapidamente introdotte.

In un contesto di mercato con meccanismi di funzionamento come quello descritto (oggi ancora pienamente funzionanti) bisognerebbe interrogarsi anche sull’effettivo ruolo del mercato azionario a supporto dello sviluppo dell’economia reale. La principale ragione d’essere dei mercati azionari è quella di procurare capitali di rischio privati per finanziare iniziative d’impresa giudicate meritevoli: che senso ha, tuttavia, un mercato dei capitali in cui gli investitori (intesi come risparmiatori che allocano capitali in quote azionarie nel lungo termine, non certo nel senso di fondi speculativi di breve termine) possono rimanere vittime di trappole come quella descritta per Seat?

Fonte: ECONOMY 2050, link dell’articolo originale  www.economy2050.it/default-seat-pagine-gialle-finanza-applicata-economia-reale/.

 

 

2) IL CASO “MONTE DEI PASCHI DI SIENA” (dal sito BYOBLU).

CLAUDIO BORGHI – LA VERITÀ SU MONTE DEI PASCHI DI SIENA

28 Dicembre 2016, 18 minuti di lettura

Monte dei Paschi di Siena. Cosa è davvero successo? La verità che nessuno racconta sulle responsabilità di Mario Draghi e della Banca d’Italia, passando per Massimo D’Alema e per l’Opus Dei, nell’intervista fiume a Claudio Borghi Aquilini.

Claudio Borghi Aquilini, siamo in diretta perché hai delle rivelazioni scottanti per i nostri amici di Byoblu sul caso Monte dei Paschi di Siena: è corretto?

Monte dei Paschi di Siena è una delle più antiche banche del mondo: 550 anni di storia, in una città piccola. Siena conta trenta/quarantamila abitanti, quindi diciamo una città non grande se consideriamo che Como ne conta almeno centomila. Per merito suo e dei suoi antenati, Siena ha saputo accumulare una grande ricchezza. Cosa è successo? A un certo punto questa banca ha cominciato a essere diretta espressione della politica del territorio. Lì governava PD, PSI o in generale la sinistra. Il vecchio PCI non aveva fatto particolari danni, anzi. I disastri avevano cominciato a venir fuori con le “nuove generazioni” del Partito Democratico. Da lì in poi hanno cominciato a fare quello che normalmente fa la sinistra quando vuol prelevare denaro, o dal pubblico o in generale dagli enti che controlla. Le modalità sono sempre quelle. Per esempio: far comprare a prezzo esagerato qualcosa da parte di qualcun altro, mettendola sul conto di “Pantalone”. E “Pantalone” può essere o l’ente pubblico, oppure – per esempio a Milano conoscono benissimo il caso della Serravalle -in generale può esserci l’amico che ha un palazzo o qualcosa del genere: lo si compra a un prezzo esagerato e si svuota, quindi si attingono soldi dall’ente che compra. Per attingere i soldi dal Monte dei Paschi di Siena avevano usato esattamente questo sistema. Il primo metodo – che si dovrebbe ricordare – fu la Banca Agricola Mantovana. Magari è una cosa che dice poco a tanti, però la Banca Agricola Mantovana fu acquistata dal Monte dei Paschi di Siena  – anche qui al solito prezzo esagerato – in modo tale da consentire a Colaninno e agli amici la prima provvista per cominciare a entrare nel giro dei loro affari, nel grande periodo delle acquisizioni di Colaninno % Company, fino ad arrivare alla Telecom.

Dopodiché, sempre nel giro Telecom, qualcuno si ricorda che c’era il regista di tutti gli affari del Partito Democratico: Massimo D’Alema. D’Alema che come tutti sanno è pugliese, sistemò per tramite del Monte dei Paschi la Banca del Salento, fatta comprare dal Monte dei Paschi a prezzi incredibili, portandosi dentro – oltretutto – il capo. Uno dei pochissimi casi in cui chi ha comprato poi, dopo va a comandare. Perché Vincenzo De Bustis, che era l’amministratore delegato della Banca del Salento, poi dopo andò al Monte dei Paschi di Siena.  E quello fu il secondo prelevamento.

Ma il Monte dei Paschi di Siena sembrava veramente, però un pozzo senza fondo, perché la ricchezza era così elevata che neanche ci si accorgeva di questi iniziali “prelevamenti”, che pur stavano cominciando a danneggiarne le radici. Con strascichi in tribunale, perché qualcuno si ricorda le sigle dei prodotti truffaldini della Banca del Salento “My way for you”, quelle belle cose lì, che intasarono le aule dei tribunali. A un certo punto, però, succede il patatràc. E il patatràc ha un regista. E questo regista ha un nome che – ovviamente – fa molta paura nominare. Il suo nome è Mario Draghi. Mario Draghi era Governatore di Banca d’Italia e concede l’autorizzazione – perché c’è la sua firma sotto la lettera di approvazione – a un’operazione sciagurata che condanna il Monte dei Paschi. Questa operazione è l’acquisizione della Banca Antonveneta.

La Banca Antonveneta era stata comprata poco prima dal Banco Santander – grande banca spagnola -, il cui “Padre padrone” – diciamo così -, tale Emilio Bottin è unanimemente considerato – non foss’altro perché la moglie lo è – vicino all’Opus Dei. L’Opus Dei mi ha scritto quando abbiamo pubblicato queste cose nella relazione della Commissione d’inchiesta regionale in Toscana sul Monte dei Paschi, dicendomi che Bottin non è dell’Opus Dei né formalmente, né ufficialmente, nonostante la banca sia vicina all’Opus Dei. È un fatto però che sia una banca molto importante sia in Spagna, con degli addentellamenti ovunque, che aveva appena perso un bel po’ di miliardi in Italia quando ci fu la creazione di Banca Intesa, come adesso. Perché fondendo la Cariplo e altre banche insieme con il San Paolo di Torino per dare origine a Intesa, il Santander finì per perdere un sacco di soldi.

Ed ecco che il regista del sistema bancario europeo, il neo-regista del sistema bancario europeo, vale a dire Mario Draghi pensò bene di dire: “Ma che problema c’è? Tanto il sistema bancario dev’essere un sistema di vasi comunicanti. Tu hai avuto una perdita da una parte? Non ti preoccupare: ti compenso andando a prendere dall’altra”. Suppongo io che il ragionamento sia stato questo. Dove andare a prendere questi soldi per la compensazione? Beh! Intesa no perché era – ovviamente – l’oggetto del contendere. Unicredit era difficilmente controllabile…  C’era un ottimo Monte dei Paschi dove la politica aveva messo questo tal Giuseppe Mussari, avvocato calabrese, finito lì a Siena non si sa bene come – Massoneria? Ognuno s’immagini quello che vuole – diventato quindi boss della Fondazione Monte dei Paschi e quindi poi anche dopo della banca medesima.

Adesso poi le sentenze diranno quanto costui fosse a disposizione, ma la mia sensazione è che fosse una persona che era stata messa lì perché all’occorrenza “eseguiva” – una specie di Gentiloni. Allora a quel punto che cosa succede? Succede che il nostro simpatico esecutore riceve una telefonata che gli dice di acquistare l’Antonveneta e la Santander a un determinato prezzo. Questo mette giù il telefono ed esegue l’ordine che gli è stato impartito.  Peccato, però che la Antonveneta era stata appena comprata per 5 miliardi e invece gliela fanno comprare per 7 miliardi! E oltretutto mancando dei pezzi! Allora ci si domanda: perché non è  stata comprata in precedenza a 5 miliardi ma solo adesso a 7 miliardi? Senza “Due Diligence”, si riunisce la massa dei fenomeni dei politici, che non vedono aldilà del proprio naso. Cioè, così come in Parlamento alzano tutti la mano per votare il Fiscal Compact, il MES, no? E tutte quelle belle cose lì, uguale nel Consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi di Siena arrivano e gli dicono: “Bisogna votare questa interessante acquisizione”. Tutti ad alzare la mano! Qualcuno prova a obiettare: “Magari una “Due Diligence”, due conti…”. “No, no! Bisogna far subito perché è un affare imperdibile: prendere o lasciare e non possiamo farcela scappare!”.

La Banca Antonveneta viene acquistata con un esborso di molti miliardi e oltretutto si scopre che bisognava subentrare anche nelle fonti di finanziamento dell’Antonveneta medesima, portando il totale a 17 miliardi per l’acquisto! Mussari, in fretta e furia dispone di raccogliere soldi, fra cui le famose obbligazioni subordinate che vengono vendute al pubblico per raccogliere denaro per comprare questa “benedetta” Antonveneta a un prezzo “fuori dal mondo”. Qualsiasi istituto bancario che voglia acquistare un’altra banca, deve chiedere prima l’autorizzazione della Banca d’Italia. Non si può far niente senza l’autorizzazione di Banca d’Italia! L’ho provato direttamente nelle mie esperienze lavorative. Qui arriva un’acquisizione di una banca enorme, a un prezzo pazzesco, senza nessun tipo di “Due Diligence”, di conti, di sinergie, di proiezioni e arriva l’autorizzazione da Banca d’Italia! Che dice: “Procedete pure!”. Firmato: Mario Draghi. Tutto normale? Tutto normale!

Subito dopo aver strapagato questa banca, arriva la crisi del 2008: i subprime e così via, …va tutto a “Patrasso”! E Siena si ritrova nella condizione simile a chi ha fatto un mutuo enorme per comprare una catapecchia e il giorno dopo perde il lavoro. Quindi non ci sono più i soldi per pagare il mutuo. La casa che ha comprato è una catapecchia e quindi non può pensare di rivenderla e uscire dal mutuo. E si cominciano ad accumulare perdite che si cerca di mettere sotto il tappeto. Allora si comincia con i derivati: si chiamano un bel po’ di banche d’affari compiacenti che cominciano già da subito a prendere commissioni enormi e si dice: “Puoi nascondermi un po’ questa perdita?” “Sì, non c’è problema, figurati: te la parcheggio qui, te la metto lì, ti metto questo derivato, faccio finta che quelli sono titoli di Stato, in realtà sono garanzia”. Allora arrivano i famosi Alexandria, Santorini… questi nomi che rimbombano da un po’ nelle aule giudiziarie – diciamo così -, ma che sono la conseguenza. Buona parte dei processi si stanno facendo su questi tentativi di andare a coprire il buco. Ma purtroppo, nessun processo si fa per l’origine del buco, vale a dire del perché a un certo punto, in quel momento uno ha alzato il telefono e ha fatto ordinare al “cameriere” – in quel momento preposto – di acquistare a prezzo totalmente esorbitante una banca!? Perché se si fosse indagato in diretta, si sarebbe potuto magari sapere il perché di questi soldi pagati con bonifico: c’è tutta la lista dei bonifici fatti, partiti da Siena, di miliardi. Perché se stiamo parlando di una super-tangente – la più grande tangente della storia dell’umanità – sarebbe stato utile tracciare i bonifici per vedere dove andavano a finire una volta usciti dalle casse di Siena, dalle casse dei risparmiatori che, con fiducia, avevano acquistato queste obbligazioni.

Quindi il meccanismo funziona così:

I soldi vengono prelevati dai cittadini e dalle casse millenarie del Monte dei Paschi di Siena sottoforma di obbligazioni, cittadini che con la massima fiducia acquistano un titolo che per loro è un’obbligazione bancaria. Quindi un titolo assolutamente privo di rischi.
I soldi dei risparmiatori, che vanno a finire nelle casse del Monte dei Paschi di Siena per tramite della raccolta obbligazionaria, vengono prelevati e vengono mandati in Spagna al Santander e alle altre banche che hanno fatto il processo, dove se ne perdono le tracce.
Questa gestione del denaro era stata denunciata in diretta da molte persone. Io ero all’epoca responsabile azionario di Deutsche Bank e, insieme ad altri addetti ai lavori, ci chiedevamo cosa stessero architettando. I ragazzi della Lega di Siena fecero presentare una denuncia in Procura dal deputato Borghezio. Denuncia che venne archiviata. La ricaduta di tutte queste azioni truffaldine, diventa poi la storia che conosciamo noi. Vale a dire: arriva Monti e impone l’austerità, che fa fallire le imprese. Le imprese dove falliscono soprattutto? Falliscono in Veneto, dove i prestiti erano magari accordati dall’Antonveneta. E quindi l’impresa fallisce e non restituisce più i soldi all’Antonveneta e di conseguenza al Monte dei Paschi di Siena. Qualche amico degli amici riceve dei finanziamenti dal Monte dei Paschi di Siena e non restituisce più niente. Per De Benedetti, tanto per citarne un altro, ci sono i prestiti accordati a Surgenia e così via. Si è sempre chiesto l’elenco di chi ha preso a prestito i soldi del Monte dei Paschi, ma senza successo.

Il risultato è che Monte dei Paschi adesso ha 50 mld di crediti e di questi 50 mld di crediti, metà non si riesce a riscuoterli. Quindi ai 25 miliardi netti da riscuotere bisogna aggiungere le Provisions. Quella che era una banca di valore, che possedeva una capitalizzazione tra le più grandi di Borsa Italia, è stata azzerata da anni di malagestione. Aumenti di capitale per circa 10 miliardi, quindi nuovo capitale chiesto sempre ai risparmiatori, nuovi azionisti a cui si millantavano aumenti del valore azionario solo per inglobare capitali da inserire in una banca, oramai diventata come una fornace, in cui i capitali vengono sempre azzerati dal continuo aumento di prestiti che non ritornano.

Perché? Vi ricordate come funziona una banca? Una banca che funziona raccoglie denaro dai cittadini, quindi tramite conti correnti, tramite prestiti, tramite obbligazioni, tramite convertibile e cose di questo tipo, questo denaro lo presta, lo presta alle imprese e a privati e così via, e lucra la differenza tra quello che costa pagare gli interessi a chi ti presta il denaro e quello che, invece incassa prestando a sua volta denaro. Quindi ai mutui e similari. Ecco, se però quelli a cui la banca ha prestato il denaro non restituiscono alla banca medesima, si crea il buco. Su 100 miliardi di prestiti che una banca può aver fatto, se il 10% non paga, non restituisce i soldi, sono 10 miliardi che mancano. E questi 10 miliardi, a fronte, hanno qualcuno che invece li aspetta, questi soldi. Perché magari sono i conti correnti, perché magari sono le obbligazioni. Ecco, questa storia dove la politica ha messo dei camerieri, degli esecutori e probabilmente ha “pappato” le solite briciole, dove qualcuno ha fatto conto pari su giri di miliardi europei, dove chi doveva vigilare – vale a dire la Banca d’Italia – ha avvallato tutto, di tutta questa bella storiella, da chi si vogliono andare a prendere i soldi? L’avete già capito: dai cittadini! Dai risparmiatori! Dalla vecchietta! Dagli unici che non sapevano, non potevano minimamente sapere che i soldi che stavano prestando non erano sicuri, perché lo erano!

Poi c’è anche il famoso, “suicidio” in tutta questa storia.

Ogni volta che uno ha provato a indagare un pochino più nel profondo, qualcosa è andata a finire male. Il povero David Rossi era un uomo di fiducia di Mussari. Allora, a un certo punto deve aver fatto qualche piccolo errore. Secondo me, non è detto che lui sapesse chissà che cosa, ma dev’essersi fatto sfuggire qualche frase del tipo: “Basta! Adesso parlo!” o qualche cosa del genere. E il risultato è stato forse quel video che qualcuno ha visto: David Rossi venne “simpaticamente” buttato dalla finestra del suo ufficio. Facendolo passare per un suicidio, cosa che ovviamente anche un bambino capirebbe che suicida non era, non fosse altro che per l’orologio che segue il suicida minuti dopo. Perché dal video si vede, cioè lui cade e dopo qualche minuto arriva l’orologio! Rido… cioè rido per la cosa paradossale, del fatto che non si sia subito voluto indagare su questa cosa, facendo capire che evidentemente anche in magistratura c’era gente che non doveva guardare lì. Perché sennò, altrimenti, un video che si vede chiaramente che è manipolato e in cui l’orologio arriva a seguire alcuni minuti dopo che uno si è suicidato… posizione, biglietti scritti con calligrafia sbagliata, segni di colluttazione ignorati. Cioè, voi immaginate che schifo, che disastro una situazione del genere perché i cittadini avrebbero dovuto essere garantiti da almeno tre strati di controllo:

dallo strato della politica. Diciamo pure che il PD poteva essere corrotto e motore primo di tutta l’operazione, ma anche l’opposizione avrebbe dovuto fare il suo mestiere. Cioè, oggi in Toscana, dove facciamo le pulci anche ai centimetri, non avrebbe mai potuto succedere una cosa del genere. Invece lì l’opposizione era rappresentata da chi? Da Forza Italia di Verdini. Quindi immaginatevi che meraviglia! Lì l’opposizione, che doveva per prima garantire i cittadini, non ha visto niente.
dalla vigilanza di Banca d’Italia – pagata per far quello – che era parte in causa.
dalla magistratura – direttamente adita dai cittadini, perché sono andati a portare una denuncia indiretta – che non ha guardato.
Ora, in tutto questo contesto di mancanze da parte dello Stato: vi sembra giusto far pagare ai cittadini? Eh no! Quello che dovrebbe pagare per tutti è l’istituto di emissione: Banca d’Italia, la Banca Centrale Europea. Anche tutti i responsabili di questa storia dovrebbero subire un giusto processo. Invece no. L’Europa ha ben pensato di far partire delle “belle” regole, approvate “giulivamente” da tutti perché, alla fine, tranne la Lega a Bruxelles e in Parlamento – una volta che si è arrivati a ratifica – Lega e Movimento 5 Stelle, tutti hanno votato per le regole del “bail in“, che significa: “Fotti i risparmiatori!”. “C’è un problema della banca, non è controllato, c’è un buco“. “Che problema c’è? Fai conto pari fottendo i risparmiatori”, come vi ho raccontato nel messaggio dell’anno scorso .

Ecco! Adesso – dopo che hanno fatto la prova generale con l’Etruria – si sono un po’ resi conto che non è poi così semplice prendere e fottere il risparmiatore. Perché ogni tanto qualcuno si suicida, perché ogni tanto qualcuno si arrabbia. Ed è sempre poco, rispetto a quello che dovrebbe succedere. Ed ecco che stanno partendo con la grande idea della nazionalizzazione. Dopo che hanno tenuto nascosta questa roba per un sacco di tempo… ma anche i sassi oramai sapevano che quella banca lì non poteva stare in piedi! Renzi ha agito direttamente: ha fatto una telefonata e ha fatto sostituire il Direttore generale, chiamando al suo posto quello che era gradito alla banca JP Morgan, che voleva 450 mln di commissione per non fare nulla. Perché non prendeva nessun tipo di garanzia, nessun tipo di prestito. Poi dopo, al momento buono, quando c’è stato da finalizzare questa operazione… perché io non capisco chi poteva essere così “gonzo” da lasciargli convertire volontariamente le proprie obbligazioni in azioni (eppure più di 2 miliardi hanno raccolto con questo sistema), perché se io ho un’obbligazione, significa che io devo ricevere dei soldi, è come se io avessi prestato dei soldi alla banca, mentre se io le cambio in azioni – queste mie obbligazioni – ecco che a quel punto non devo più ricevere niente: divento un socio della banca e quindi spariscono questi debiti dal conto della banca. Ecco: son riusciti a raccogliere 2 miliardi, chissà cosa gli ha raccontato ai poveri sottoscrittori. Ma li hanno ingannati perché poi – subito dopo – hanno dovuto riaprire i termini della conversione e già il prospetto includeva delle altre cose che non erano scritte e soprattutto, adesso, una volta che – nonostante tutto – avevano trovato i 2 miliardi e che tutti si sono sfilati e deve intervenire lo Stato, a un certo punto scopriamo incredibilmente – cosa di ieri – che invece di 5, di miliardi ce ne vogliono ce ne vogliono 8! Ma, scusate: mi state prendendo in giro o che cosa? Tu Banca Centrale Europea, fino a ieri invitavi la gente – approvando quindi tutti i vari prospetti – ad aderire a una operazione dove si diceva che con 5 miliardi si sistemava la banca. Passano pochi giorni e tu stessa BCE dici che invece ce ne vogliono 8?! Ma stiamo parlando di miliardi! Tremila milioni in più! E voi capite che qua non c’è film, non c’è film! Perché adesso vedrete cosa succede con il sistema attuale del “salvataggio statale”. “Salvataggio statale” significa che sì, lo Stato ci mette dentro i soldi, ma quelli che verranno azzerati saranno – come al solito, in misura maggiore – gli obbligazionisti! Perché gli obbligazionisti subordinati, che sì saranno anche subordinati, ma da nessuna parte nel loro contratto, quando hanno sottoscritto queste obbligazioni, si diceva che la banca sarebbe andata avanti – statalizzata o meno – e gli unici a essere ingannati sarebbero stati loro! Si diceva che assumevano degli altri tipi di rischi, che anche quelli non venivano detti ai sottoscrittori. Però erano degli altri tipi di rischi che erano per esempio quelli di non incassare le cedole. Si diceva che se per caso la banca avesse avuto delle forti perdite, si poteva anche non ricevere le cedole. Questo era il rischio che ti sobbarcavi tu come obbligazionista subordinato. Soprattutto. Perché l’altra ipotesi, vale a dire quella di venir pagato dopo rispetto agli altri creditori in caso di liquidazione della banca, non veniva apprezzata perché tanto in ogni caso , se si fosse andati alla liquidazione della banca, non ce n’era per i subordinati, non ce n’era per gli ordinari, non ce n’era neanche per niente perché significa… e neanche per i correntisti. Per cui quel tipo di subordinazione non era mai stato apprezzato dagli addetti ai lavori. E se non era apprezzato dagli addetti ai lavori, figurarsi cosa poteva essere apprezzato dai privati! Fatto sta che il meccanismo adesso è questo: loro daranno in cambio delle azioni della banca – valutate agli ultimi 30 giorni – a tutti gli obbligazionisti. Gli obbligazionisti avranno quindi in mano una massa enorme di azioni che – speranzosi – vorranno incassare. Quindi ti dicono che ti danno un contro-valore in azioni valutando le azioni 20. Ecco: quando si andrà a vendere, ci ritroviamo qua e vedremo cosa sarà il valore di quelle azioni. Non sarà 20, non sarà 18, non sarà 17. Sarà… non so che cosa. Ma immaginate una massa enorme di persone che vuol portare a casa il proprio denaro e dall’altra parte nessuno che compra.

Trascrizione: a cura di Maria Grande

NOTA* Integrazione: questa è la lista dei bonifici per l’operazione Antonveneta cui si fa riferimento nel video:

L’operazione Antonveneta costò poco più di 9 miliardi corrisposti direttamente ad Abn Amro, ma che il Monte si accollò anche il passivo che la stessa Antonveneta presentava al momento della vendita. Mps dovette infatti sostituire le linee di finanziamento (credit facility) che Abn aveva accordato ad Antonveneta per un importo complessivo di 7,5 miliardi. Il totale raggiunse l’iperbolica cifra di 17 miliardi 7milioni 760mila 687 euro e 52 centesimi (17.007.760.687,52 euro).

Il Monte effettuò otto bonifici, così ripartiti:

1) 9.267.652.631,96 di euro a favore di Abn Amro Bank Amsterdam (30/5/2008);
2) 2.500.000.000 di euro a favore di Banco Santander Madrid (30/5/2008);
3) 1.500.000.000 di euro a favore di Banco Santander Madrid (31/3/2009);
4) 67.392.291,67 di euro a favore di Banco Santander Madrid (31/3/2009);
5) 1.000.000.000 di euro a favore di Banco Santander Madrid (30/4/2009);
6) 49.347.361,11 di euro a favore di Banco Santander Madrid (30/4/2009);
7) 2.500.000.000 di euro a favore di Abbey National Treasury Service Plc Londra (30/4/2009);
8) 123.368.402,78 di euro a favore di Abbey National Treasury Service Plc Londra (30/4/2009).

Scritto da: Articolo tratto dal sito BYOBLU di Claudio Messora (intervista a Claudio Borghi)

Fonte: Link art originale Claudio Borghi – La verità su Monte dei Paschi di Siena

 

 

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