Storia: Deregulation finanziaria

Sequenza degli articoli:

  • INTRODUZIONE: Storia deregulation finanziaria in sintesi.
  1. LE 3 FASI DELLA DEREGULATION FINANZIARIA.
  2. RICOSTRUZIONE STORICA DELLA DEREGULATION FINANZIARIA (a cura di MoviSol/EIR).

 

 

INTRODUZIONE: Storia deregulation finanziaria in sintesi.

Già nel ’29 la “grande depressione” fu il frutto degli squilibri monetari generati dalla deregolamentazione del sistema bancario coi relativi mercati finanziari.
La grande depressione si risolse con l’attuazione, da parte dell’allora presidente Roosevelt, di due precise azioni economiche strettamente correlate fra di loro:

  1. POLITICA ECONOMICA ESPANSIVA: L’adozione di una politica espansiva di stampo keynesiano.
  2. SEPARAZIONE DEI 2 MESTIERI BANCARI: La netta separazione dei 2 mestieri bancari, BancaConvenzionale e BancaD’affari (vedi Glass-Steagall Act) oltre che stabilire una pesante regolamentazione finanziaria.

A partire dagli anni ’70, poi ’80, poi ’90, la Glass-Steagall act è stata abolita riportando il sistema ad essere nuovamente fallato, con tutte le conseguenze al seguito che ne derivano.

 

 

1) LE 3 FASI DELLA DEREGULATION FINANZIARIA.

LA FINANZA COME STRUMENTO DI DOMINIO/COLONIZZAZIONE.

Possiamo distinguere 3 fasi nel percorso di deregulation:

  1. – Anni ’70: TransNazionalizzazione delle economie.
  2. – Anni ’80: Introduzione degli strumenti derivati.
  3. – Anni ’90: Unificazione bancaria, o Banca universale (abolizione della Glass Steagall).

Anni ’70: TransNazionalizzazione delle economie.

Nel ’71 si scioglie Bretton Woods.
Tutte le monete vincolate al Dollaro si svincolano, permettendo alle Nazioni di acquisire totale sovranità.
L’asse anglo-americano deve dunque correre ai ripari, e trovare un modo di riportare tutte le nazioni sotto il tallone dell’Asse.
E’ così che viene deciso il piano di riattivazione del sistema capitalistico finanziario da portare a compimento in varie fasi susseguitesi da li negli anni a venire.
La prima fase è la TransNazionalizzazione delle economie.
Questa si ottiene con 2 mosse precise:
– La prima è mediante gli Shock petroliferi: Gli Shock petroliferi, col la quadruplicazione del prezzo del greggio, agirono infatti per provocare una richiesta di dollari globale (giacché le materie prime/petrolio erano prezzate in Dollari) tale da provocare l’intervento del Fondo Monetario Internazionale, che come abbiamo imparato a conoscere, instaura un sistema di dominio/colonizzazione che permette agli USA e al cartello Finanziario internazionale di controllare in modo diretto le economie dei paesi vittime del Fondo.
– La seconda è mediante l’instaurazione in Europa del Sistema Euro Monetario SME: Attraverso lo SME infatti la finanza è in grado di controllare le economie degli Stati aderenti all’unione monetaria, in virtù del fatto che il cambio fisso espone in modo sistematico tutti gli Stati agli attacchi speculativi che come sappiamo NON potrebbero essere sferrati in una condizione di sovranità monetaria a moneta fiat.

Anni ’80: Introduzione degli strumenti derivati.

Per riportare in auge il modello capitalista finanziario, occorre una governance di matrice NeoLiberista.
Ed è ciò che avviene, negli anni ’80.
Abbiamo:
– Ronald Regan negli USA
– Margaret Thatcher in UK.
Questa governance NeoLiberista sarà quella che porterà a compimento la seconda fase, quella dell’attivazione degli strumenti derivati.
Si tratta di quell’evento passato alla storia con l’appellativo di Big Bang.
In questa fase il cartello finanziario impiega diversi anni per collaudare e mettere a punto i suoi strumenti composti da:
– derivati/futures,
e:
– Computer programmati per comprare e vendere in modo automatico (mossa questa in grado di avere un dominio totale sulla borsa).

Anni ’90: Unificazione bancaria, o Banca universale (abolizione della Glass Steagall).

Si tratta dell’abolizione della Glass Steagall act, la fondamentale legge di sistema istituita nel 1933 che stabiliva la netta distinzione tra banche commerciali e banche d’affari .
L’abolizione della Glass Steagall darà il via al riavvento della così detta banca universale, la stessa formula bancaria che negli anni 20 porto’ al collasso dell’economia globale con la così detta grande depressione.

Riepilogo del punto chiave su cui poggia lo strapotere finanziario:

Ricordiamo lo schema chiave su cui si basa il ricatto finanziario:
Con BC DIPENDENTE dalla democrazia del 99% i MercatiFinanziari sono FuoriGioco, e gli Stati possono attuare le manovre ESPANSIVE a favore del 99%.
Viceversa:
Con BC INDIPENDENTE gli Stati devono attuare le manovre RESTRITTIVE a favore dell’1%.

Scritto da: Cristian Minerva.

Fonti: MoviSol – EIR

 

 

2) RICOSTRUZIONE STORICA DELLA DEREGULATION FINANZIARIA (a cura di MoviSol/EIR).

CRONACA DELLE TAPPE CHE HANNO CONDOTTO GLI UOMINI DELLA FINANZA AL CONTROLLO DELL’ECONOMIA OPPORTUNAMENTE GLOBALIZZATA (collage di articoli tratti dal sito MoviSol/EIR).

INTRODUZIONE: Il modello corretto a favore del 99% che ha consentito a tutte le economie occidentali di progredire/evolversi civilmente ed economicamente, è quello misto pubblico/Privato con BancaCentrale sottoposta al controllo della democrazia del 99%.
Questo modello è Stato posto in essere dagli anni ’30 attraverso mirate manovre/riforme volte a sottrarre le ricchezze ed i poteri dalle mani dei MercatiFinanziari, e riporle nelle mani della contro-parte popolare (vedi Glass-Steagall act).
Il massimo apice del progresso sociale e civile si è raggiunto nel periodo post 2^ guerra mondiale fino alla fine degli anni ’60, inizio ’70.
Con lo scioglimento del sistema DollarExChange standard avvenuto nel 1971, gli USA persero il controllo/dominio su tutte le economie vincolate al Dollaro.
Ma in tempi di monete sovrane e regole stringenti per la libera circolazione dei capitali, il gioco monetario non poteva funzionare.
Da qui l’esigenza (da parte dei MercatiFinanziari anglo-americani) di rimuovere i vincoli promuovendo una globalizzazione che consentisse una trans-nazionalizzazione delle economie dove la libera circolazione dei capitali di cui disponevano le grandi potenze economiche, avrebbe consentito ai gruppi finanziari anglo-americani di imporre liberamente la loro supremazia mettendo sotto scacco tutti gli altri soggetti più deboli.
Le crisi petrolifere degli anni ’70 crearono le basi per il trampolino di lancio che negli anni a seguire vide una escalation progressiva dei saccheggi operati dal così detto 1% della popolazione facente capo alla finanza, a scapito del restante 99%.         C. M.

 

– La grande speculazione e la finanza angloamericana:

Il vero e proprio inizio di questa dissennata corsa alla deregulation e alla “globalizzazione” dei mercati finanziari in stile thatcheriano, a cui assistiamo attualmente in Italia, risale alla fine degli anni ’60, inizio anni ’70. A partire da quel periodo, le grandi banche internazionali americane, come la Chase Manhattan e la Citicorp, iniziarono a cercare nuovi impieghi del capitale che fruttassero alti profitti, in quanto gli investimenti nell’economia interna americana non erano così profittevoli come quelli all’estero. Nel 1971, decine di miliardi di dollari avevano già abbandonato gli Stati Uniti ed erano approdati in Europa. L’astuto Sir Siegmund Warburg, presidente della omonima e celebre banca britannica (la stessa a cui il ministro del Tesoro Barucci si è recentemente rivolto per stimare il valore immobiliare dell’IMI), si recò allora a Washington per convincere il Tesoro e il Dipartimento di Stato USA a far rimanere all’estero quei capitali, in modo che Londra potesse usarli per ripristinare il ruolo di “banchiere mondiale” che la City aveva svolto fino al 1914. È ironico che il primo prestito in “Eurobbligazioni” sottoscritto da Siegmund Warburg fosse quello di 15 milioni di dollari lanciato dalla Società Autostrade dell’IRI.

La vera trovata di Warburg fu però l’uso dei dollari espatriati in Europa, i cosiddetti “Eurodollari”, che si rivelarono l’innovazione finanziaria più destabilizzante degli anni settanta. Il Presidente Nixon, seguendo il consiglio di George Shultz e Paul Volcker, annunciò il 15 agosto 1971 che da quel momento in poi Washington e la Federal Reserve, la banca centrale USA, si sarebbero rifiutate di riscattare in oro i dollari posseduti dalle altre banche centrali. Washington stracciò, con atto unilaterale, gli accordi di Bretton Woods del 1944 che stabilivano l’ordine monetario postbellico. Di colpo, il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di “tassi di cambio fluttuanti” che trasformò il sistema monetario basato sul dollaro in una gigantesca arena speculativa.

Nel maggio 1973, sei mesi prima che scoppiasse la “crisi petrolifera”, l’oligarchia politico-finanziaria angloamericana si riunì segretamente nella località svedese di Saltsjoebaden per discutere la fase successiva del “ricatto” esercitato per mezzo del dollaro sull’economia mondiale.

Tra gli ospiti di quel ristretto gruppo di potenti, riuniti sotto l’egida del Club Bilderberg, c’era il Presidente della FIAT Gianni Agnelli. Si discusse che bisognava persuadere l’OPEC ad aumentare il prezzo del petrolio del 400%. Dato che dal 1945 il petrolio si acquistava solo con dollari, la mossa avrebbe automaticamente quadruplicato la domanda di dollari sul mercato internazionale.

Henry Kissinger, un altro ospite della riunione segreta del Bilderberg, battezzò l’idea col nome di “riciclaggio dei petrodollari”. I suoi interlocutori, come Lord Richardson della British Petroleum, Robert O. Anderson dell’americana Atlantic Ritchfield Corporation (ARCO) o lo svedese Marcus Wallenberg, non erano interessati a discutere come impedire i catastrofici effetti sull’economia mondiale derivanti da un quadruplicamento del prezzo del petrolio, ma, piuttosto, l’intera discussione in quella sperduta località della Svezia ruotò attorno all’idea di come assicurare che poche, scelte banche americane controllassero la nuova ricchezza dei “petrodollari” in mano araba. Si trattava quindi di come aumentare il potere nelle mani delle banche di Londra e New York, del cartello petrolifero e dei loro amici europei, alle spese del resto del mondo.

– Il poliziotto del debito del terzo mondo:

A seguito delle due crisi petrolifere degli anni Settanta, paesi che erano allora in via di sviluppo, come il Brasile, l’Argentina, il Perù, alcuni paesi africani e altri del patto di Varsavia come la Polonia, cominciarono a indebitarsi pesantemente presso le banche inglesi che controllavano il mercato dell’Eurodollaro. A seguito dell’arbitrario aumento del 400% dei prezzi petroliferi, la loro bilancia dei pagamenti registrava forti passivi ed avevano quindi disperatamente bisogno di crediti.
Le banche inglesi dell’Eurodollaro sapevano benissimo che questi paesi non volevano ricorrere al FMI, per non sottostare alle dure condizioni, e offrirono generosamente il credito privato attraverso il mercato off-shore dell’Eurodollaro. Questo mercato off-shore aveva la sua capitale a Londra ed era nato da quello che Henry Kissinger allora definì “il riciclaggio dei petrodollari”, gli incalcolabili proventi del petrolio che finirono nei conti dei paesi esportatori di petrolio. Le banche inglesi prestavano i depositi degli sceicchi e dei paesi dell’OPEC alle vittime di quell’incredibile rincaro del prezzo del petrolio che lo stesso Henry Kissinger aveva ordito in combutta con quel gruppo di banche. Nel giustificare gli enormi prestiti ai paesi latinoamericani il presidente della Citibank Walter Wriston dichiarò: “Le imprese falliscono, gli stati no”.
Quei prestiti in petrodollari contenevano una postilla che si rivelò un capestro. Gli interessi sui prestiti dovevano essere “fluttuanti” secondo il Libor, il tasso interbancario di Londra. Prima del giugno 1979 i tassi di Londra erano concordemente considerati a buon mercato. Nessuno prima poteva sospettare che improvvisamente il premier britannico Margaret Thatcher, prontamente seguita da Paul Volcker della Federal Reserve USA, decidesse una impennata dei tassi d’interesse. A seguito di quei rialzi, alla fine del 1979 i tassi Libor sui crediti di Eurodollari al Terzo Mondo era triplicato in poche settimane.
Fu così accesa la miccia della bomba del debito del settore in via di sviluppo.
L’esplosione si verificò nell’agosto del 1982, quando il Messico fece sapere a Washington di non poter pagare la rata successiva degli interessi dovuti alle banche di New York. Fu in tale occasione che il FMI fu rimesso a nuovo per diventare l’ente che impone l’austerità feroce e tagli spietati ai livelli di vita di interi popoli.
La formula del FMI era sempre la stessa: il paese debitore era costretto a tagliare le importazioni, svalutare la moneta (in modo da garantire che il debito estero denominato in dollari ne risultasse abbondantemente moltiplicato), ed imporre tagli draconiani ai sussidi governativi ai generi di prima necessità. Contemporaneamente i settori più appetibili dell’economia nazionale venivano essere aperti agli investitori stranieri a prezzi stracciati, giustificando la svendita sotto la rubrica “riforme liberiste”.
Secondo le cifre della Banca Mondiale il debito complessivo di 109 paesi in via di sviluppo nel 1980 ammontava a 430 miliardi di dollari. Da allora fino al 1986 essi pagarono, solo di interessi, 326 miliardi di dollari. Di capitale pagarono 322 miliardi. Complessivamente quindi pagarono 658 miliardi di dollari in sei anni su un debito iniziale di 430 miliardi. Ciononostante, sempre secondo cifre della Banca Mondiale e del FMI, i 109 debitori nel 1986 avevano ancora un debito complessivo di 882 miliardi di dollari! Il gioco di prestigio è semplice: più paghi, più ti indebiti in virtù del tasso d’interesse che aumenta da solo e sotto i colpi delle condizioni del FMI che inceppano l’economia.
I rinegoziati del debito susseguitisi dal 1982 hanno trasformato il fardello del debito del Terzo Mondo in una piramide di centinaia di miliardi. Grazie ai controlli del FMI sull’economia interna, le banche hanno continuato a prestare quel minimo indispensabile per garantire che i debitori paghino gli interessi sul debito. Fintanto che riesce a riscuotere gli interessi, una banca può dichiarare in bilancio tutto il debito come patrimonio allo scopo di erogare nuovo credito, anche se tutti sanno che non c’è modo di riscuotere un centesimo di capitale.
Dal 1982 fino alla nuova fase apertasi negli anni Novanta, nessun paese del Terzo Mondo è riuscito ad ottenere un nuovo credito. Ciononostante, per i 109 debitori il totale complessivo del debito con l’estero, denominato in dollari, aveva raggiunto i 1600 miliardi di dollari nel 1994, con un aumento netto di 1200 miliardi di dollari dal 1980.

– Globalizzazione:

Nell’ottobre del 1985 FMI della Banca Mondiale giunsero ad una svolta importante quando il segretario al Tesoro USA James Baker indisse a Washington un incontro delle principali banche americane e internazionali presieduto dal presidente della Federal Reserve Paul Volcker. In tale occasione fu definita una strategia per utilizzare i fondi e l’autorità delle due istituzioni. Al FMI ed alla Banca Mondiale non competeva più solo l’esazione del vecchio debito, ma anche il compito di imporre ai paesi del Terzo Mondo nuovi diktat per la liberalizzazione, per la privatizzazione delle industrie di stato e di tutte le altre misure che passano sotto il nome di “globalizzazione”.
Alla fine degli anni Ottanta la Banca Mondiale fu trasformata in ente preposto al processo di globalizzazione dell’industria. Qualche governo del Terzo Mondo ed i rispettivi funzionari in seno alla Banca Mondiale inutilmente protestarono di fronte a quella che era una palese trasformazione di una banca multilaterale per lo sviluppo in un bieco strumento di espansione delle multinazionali nelle riserve di manodopera quasi gratuita nei paesi poveri.
Le nuove regole di convertibilità monetaria imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale permettono alle multinazionali di estrarre i profitti senza restrizioni.
Nell’ultimo decennio i paesi debitori non ricevono “l’approvazione” del FMI se non acconsentono alle richieste delle grandi multinazionali di svalutare la moneta nazionale rispetto al dollaro, cedere ogni difesa dei mercati interni e svendere i patrimoni di stato attraverso le privatizzazioni, con la scusa di ridurre il deficit del bilancio. Il risultato è una forma di “neo-colonialismo”.

Queste grandi finanziarie di New York e Londra su cui si fonda il potere anglo-americano gestiscono il gioco della liberalizzazione dei mercati internazionali. Ne scrivono e riscrivono le regole per massimizzare di volta in volta i profitti. A Bruxelles contano su sir Leon Brittan, fratello del Samuel Brittan direttore del Financial Times. Fino al gennaio 1993 Leon Brittan è stato Commissario della CEE per la Politica di Concorrenza ed è l’autore delle regole bancarie ed assicurative che hanno favorito Londra, tanto criticate sia dalla Germania che dagli altri paesi membri della CEE. Sir Leon era un esponente del governo della Thatcher quando improvvisamente, nel gennaio del 1986, si dimise per andare a Bruxelles.

Nonostante le illusioni di grandeur, Parigi è un centro finanziario che non può tener testa alla prepotenza anglo-americana, e lo stesso discorso vale per i finanzieri di Francoforte, così come quelli del Sol Levante. Pur disponendo delle maggiori istituzioni bancarie e assicurative, il Giappone non è in grado di offrire una valida resistenza alle manipolazioni finanziarie anglo-americane.

– La globalizzazione e il “Big Bang” londinese:

La formula che gli anglo-americani tentano oggi di spacciare ai governi di tutto il mondo, convincerli cioè a svendere i patrimoni dello stato per ottenere qualche liquido con cui far fronte al dissesto del bilancio ed al tempo stesso “promuovere la competitività”, fu collaudata dalla finanza londinese alla fine del 1979, in particolare dalla N.M. Rothschild & Co., che coordinò la svendita generale per conto del governo della “Lady di Ferro”.

Così un ristretto gruppo di finanzieri ha dominato per quasi 12 anni l’economia inglese. Principalmente si tratta di esponenti della Società Mont Pelerin, come i consiglieri della Tatcher Karl Brunner, sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri ancora. La Società Mont Pelerin è stata presieduta internazionalmente fino a poco tempo fa dall’economista arciliberista Milton Friedman, ascoltatissimo dal Presidente Ronald Reagan.

Friedman è l’architetto della politica economica imposta al Cile dalla dittatura di Augusto Pinochet. Essa si riduce all’idea di tenere il governo fuori da ogni intervento e lasciare che gli interessi privati facciano il bello e cattivo tempo. Friedman fece scalpore quando propose che l’eroina e gli altri stupefacenti venissero considerati alla stregua di una “merce” normale, in modo da permettere al consumatore di “scegliere liberamente” se acquistarla o meno.

Sotto la rivoluzione “liberistica” imposta dalla Thatcher sono state messe all’asta le imprese migliori dell’Inghilterra, dalla British Petroleum alle compagnie del gas e dell’acqua, fino alla industria militare Vickers. Da quando la Thatcher è stata costretta ad andarsene vengono pian piano alla luce informazioni sempre più precise di come ad arricchirsi spudoratamente in quella “privatizzazione” furono principalmente gli amici della Lady di Ferro.

D’altro canto quel “collaudo” dimostra come non sia affatto vero che l’industria, una volta privatizzata, diventi più efficiente. Dopo 13 anni di thatcherismo, quella britannica è la più arretrata tra le grandi economie europee. Negli investimenti per la Ricerca e Sviluppo del settore macchine industriali ed automobile, l’Inghilterra è stata superata anche dall’Italia. L’essenza del “liberismo” thatcheriano è dare la priorità assoluta alla finanza, a scapito dello sviluppo industriale dell’economia nazionale.

Questa degenerazione britannica toccò il fondo nell’ottobre del 1986, quando il governo decretò la completa deregolamentazione finanziaria della City di Londra, che fu chiamata il “Big Bang”. Poco meno di un anno dopo, la borsa di Londra crollò insieme a tutte le altre, travolte dalla frenetica spirale di speculazioni e truffe da essa iniziata.

In Inghilterra il “problema” delle ditte di proprietà statale, come la British Leyland o la Jaguar, non era il fatto che esse fossero di proprietà dello stato, ma piuttosto che questo stato, amministrato dal governo della Thatcher, non volle impegnarsi in una oculata politica di pianificazione degli investimenti industriali, cosa caratteristica ad esempio del MITI in Giappone, perché quel governo esprimeva gli interessi dell’alta finanza e non quelli delle capacità produttive del paese. Oggi però dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti che la deregolamentazione finanziaria londinese ha inesorabilmente portato alla rovina economica nazionale. L’Inghilterra versa nella peggiore crisi economica dagli anni Trenta, con la disoccupazione che è tornata ai livelli del 1979, quando si insediò la Thatcher. Il deficit del bilancio lievita ad un tasso annuale del 7% del PNL.

Però, contrariamente alla situazione del 1979, oggi il governo britannico non dispone più di una propria base industriale con cui mettere in moto tutta una serie di investimenti nel settore industriale.

Ma, a prescindere dal saccheggio compiuto da sir Jimmy Goldsmith, Jacob Rothschild, lord Hanson e compagnia dietro il paravento del “liberismo ad oltranza”, la privatizzazione decisa della Thatcher va collocata nel contesto della strategia anglo-americana per aprire altre regioni economiche a forme molto sofisticate di saccheggio neo-coloniale, perpetrato con la “mano invisibile” tanto cara alle teorie liberistiche. Questa “mano invisibile” anglo-americana regola i meccanismi di fusioni ed acquisizioni operate da altri governi nella misura in cui questi sono così stupidi e sprovveduti da richiedere e pagare profumatamente “consulenze finanziarie” proprio a quella cricca di finanzieri.

– Thatcher in Inghilterra, Regan negli USA:

Alla fine degli anni Settanta, quando a Londra la Thatcher cominciò lo scontro col sindacato per ridurre i salari e cominciò a svendere le imprese statali ai suoi amici, a Wall Street gente come Donald Reagan, presidente della Merrill Lynch, e Walter Wriston, capo della Citicorp, si impegnarono a lanciare una “rivoluzione finanziaria” sulla stessa falsariga che in America fu chiamata “deregolamentazione dei mercati finanziari”.

Quando Ronald Reagan diventò presidente nel 1981, e prestò ascolto a Milton Friedman, la deregulation fece innumerevoli proseliti a Washington. Nei 12 anni che seguirono, fino alla sconfitta di George Bush nel novembre del 1992, Washington voltò le spalle ad una ben dosata politica di supervisione e regolamentazione governativa di attività particolarmente importanti come quella delle compagnie aree e degli autotrasporti, per non parlare dell’economia in generale. Le leggi che erano state escogitate negli anni della Grande Depressione per proteggere la proprietà di piccoli risparmiatori e azionisti furono abrogate o ignorate negli anni Ottanta per fare spazio alla “legge del Far West” che prevede la sopravvivenza del più cattivo.

Negli anni ruggenti della deregulation la filosofia negli USA era “tutto è ammesso, dillo con i soldi”. Così al crimine organizzato fu permesso di reinvestire i proventi illeciti nei regolari flussi finanziari, per poterli così usare nelle scalate speculative a Wall Street condotte da gente come Mike Milken, Ivan Boesky ed altri. Grazie al proliferare delle “obbligazioni spazzatura”, o altre tecniche speculative, si potevano acquisire imprese sane i cui nuovi proprietari trascuravano la politica di sviluppo a lungo termine su cui cresceva l’impresa, cercando solo di realizzare profitti a breve termine. Fu così che la TWA Airlines finì in mano a Carl Icahn, uno speculatore della banca Drexel. In questi anni Ottanta, i principali istituti finanziari di Londra e New York, come la S.G. Warburg, la Barclays, la Midland Bank, la Citicorp, la Chase Manhattan, la Goldman Sachs, la Merrill Lynch, la Salomon Bros., lanciarono la “globalizzazione dei mercati finanziari”. Il presupposto di partenza era che se tutti i paesi avessero abolito i controlli sui flussi di capitali ed altri meccanismi, la nuova finanza anglo-americana avrebbe potuto accedere a nuovi, grandi spazi economici, altamente profittevoli. I grandi nomi della finanza erano alla caccia di nuovi organismi sani su cui esercitare la propria distruttiva opera parassitaria, e così sedussero molti ambienti bancari, sia europei che giapponesi, a rinunciare alla naturale diffidenza per unirsi al gioco speculativo anglo-americano e “vincere”.

Uno dei sofismi utilizzati a questo proposito era quello che descriveva il sistema finanziario del paese preso di mira come “superato”, “obsoleto”, “non abbastanza dinamico”; insomma, da riformare per promuovere la nuova ondata di finanza creativa. Così l’intera Europa fu accusata di soffrire di “Eurosclerosi”. Tutti i trucchi sono buoni per costringere le economie nazionali a sollevare le barriere protettive e permettere alla finanza anglo-americana di dilagare su ciò che essa definiva mercati “arretrati” o “provinciali” e sfruttare la maggiore scaltrezza finanziaria per saccheggiarli.

Questa trasformazione economica in direzione pro-finanza deregolamentata, seguiva la nuova linea GeoPolitica individuata dalle elite statunitensi.  La CIA americana infatti, in seguito al mutamento della Geo-politica globale, che aveva dapprima visto lo scioglimento del sistema Bretton Woods, e poi lo scemare della guerra fredda culminato in seguito nello sfaldamento dell’Unione Sovietica, aveva individuato nella globalizzazione dei mercati finanziari, il modo giusto per poter condurre i suoi giochi di potere su tutti gli altri paesi del mondo:  Il direttore della Central Intelligence Agency William Webster decise di istituire una nuova sezione della CIA, il Directorate V.   Annunciando la decisione a Los Angeles, Webster sottolineò l’ importanza della tendenza alla “globalizzazione dei mercati finanziari internazionali” come un’area d’interesse per la nuova CIA. Finita l’era della guerra fredda, Webster vedeva una nuova missione per la CIA nello spionaggio contro “gli alleati politici e militari dell’America che al tempo stesso sono nostri concorrenti economici”.

Dopo cinque anni di collaudi e affinamenti condotti a Tokio ed a Wall Street le tecniche innovative di Wall Street venivano sottoposte alla prova più ambiziosa: far crollare le valute nazionali, ad onta delle più autorevoli autorità bancarie centrali, mettendo i governi con le spalle al muro.
A Wall Street furono introdotti nuovi strumenti finanziari che non avevano alcun collegamento concreto con il flusso reale di scambi commerciali e di investimenti.
A questi strumenti fu dato il nome di “derivatives”, o finanza derivata.

A Wall Street svilupparono le operazioni nel regno dei tutto astratto dei contratti finanziari a termine, che poi furono estese anche alle valute; si stabilì così un mercato di “futures” tra vari paesi e non solo nell’ambito di una sola borsa. Si scommette sul prezzo futuro di una valuta rispetto ad un’altra, ad esempio il marco rispetto al dollaro, oppure sul valore di un titolo di stato di un paese rispetto a quello di un altro, ad esempio entro una scadenza di 90 giorni.

Si tenga ben presente però che l’oggetto della compravendita non è un Buono del Tesoro italiano e un qualsiasi altro corrispettivo straniero, ma si scommette, così come si fa alle corse, sul loro valore entro una data scadenza.

Le grandi finanziarie di Londra e di Wall Street si attrezzarono con i sistemi di Contrattazione computerizzata che collegarono con le principali piazze finanziarie internazionali realizzando così la globalizzazione finanziaria di cui parlava Webster.

Queste nuove prassi finanziarie sono quelle che verranno utilizzate da qui in poi per controllare tutti i mercati, a partire da quello Europeo con lo SME.  Il racconto delle speculazioni avvenute negli anni ’90 contro lo SME con l’attacco alla Lira, prosegue nella pag “Storia: Crisi finanziarie“.

– Khol in Germania e Mitterand in Francia:

Nel frattempo, anche negli altri paesi più importanti d’Europa, Francia e Germania, le destre liberiste nazionali operavano con lo stesso preciso intento dei colleghi atlantici, cioè quello di riuscire a scardinare gli assetti economici nazionali di matrice sovrana, e farli aprire ai mercati internazionali.
Non va infatti dimenticato, che in ciascuno di questi paesi, esistono le così dette elite dominanti capitaliste che sono tutte quante accomunate dallo stesso interesse: Ridurre al minimo lo Stato per favorire al massimo il mercato deregolamentato.
Il Sistema EuroMonetario era esattamente lo strumento principe funzionale all’espletamento di questa funzione.
Ma per ottenere che tutti gli Stati aderissero ad un progetto del genere come quello Europeo, era necessario che tutti gli Stati fossero in contemporanea presieduti da una Governance filo-liberista.

Negli anni ’80, il poker NeoLiberista è servito:

Negli anni ’80, i 4 Stati occidentali più importanti dell’asse atlantico si ritrovano tutti presieduti da una Governance NeoLiberista pro-mercato pro-finanza:
– Thatcher in Inghilterra,
– Regan negli USA.
– Khol in Germania.
– Mitterand in Francia, (Mitterrand era un NeoLiberista sotto mentite vesti, Fonte: Alain Parguez, MACROeconomista Francia).
Il NeoLiberismo ha fatto Poker.

– L’Italia entra a far parte del club NeoLiberista con la riforma del Divorzio:

La classe politica della 1^ Repubblica italiana si era sempre mostrata particolarmente poco incline ai mantra della finanza speculativa internazionale.
Con l’avvento alla presidenza di BankItalia di Ciampi, in concomitanza di Andreatta al Ministero del Tesoro, anche l’Italia compie il suo primo piccolo ma importante passo per entrare a far parte del club NeoLiberista pro-finanza pro-mercati.
Il Passo è rappresentato dal fatidico divorzio tra Tesoro e BankItalia (vedi pag Storia: Divor. Tes.-BankItalia).
L’apertura totale ai mercati giungerà però 10 anni più tardi, quando negli anni ’90 la Governance italiana NeoLiberista di Prodi & Co. decise di internazionalizzare il debito pubblico italiano, aprendolo alle speculazioni estere (prima invece era aperto solo alle speculazioni nazionali).

– Con Bill Clinton negli USA,  e Mario Draghi in Italia, viene abrogata definitivamente la legge della separazione Bancaria:

L’atto definitivo che sancisce la totale Deregulation finanziaria, è l’abolizione della Glass Steagall, ovvero la fondamentale legge di sistema che stabiliva la netta separazione tra Banche commerciali e Banche d’affari, oltre che limitare fortemente le prassi finanziarie come quelle dei derivati.
La Glass Steagall venne abrogata negli anni ’90 sotto la Presidenza Clinton.
In Italia la corrispondente legge Bancaria fu abrogata negli stessi anni sotto la presidenza (di BankItalia) di Mario Draghi (vedi pag Glass-Steagall act).

CONCLUSIONE: Questa cronaca degli eventi finanziari a cura di MoviSol ci ha fatto capire sulla base di quali presupposti la finanza si muove.
Lo schema NeoLiberista usato è sempre lo stesso:
Viene impedito agli Stati di auto-prodursi la moneta con la regola della BancaCentrale INDIPENDENTE dalla democrazia del ‘99%, (usando i soliti spauracchi dell’inflazione e dell’eccessivo deficit).
Con BC indipendente lo Stato si intrappola sistematicamente nel circolo vizioso di manovre economiche restrittive che auto-alimentano l’indebitamento, esponendo lo Stato al ricatto perpetuo dei MercatiFinanziari (i nuovi sovrani del sistema).
L’indebitamento costringe gli Stati a privatizzarsi tutti i servizi pubblici e le infrastrutture pubbliche.
I MercatiFinanziari se li comprano e li risomministrano agli Stati medesimi a regime di libero mercato corrente NeoColonizzazione.
Inutile dire che la risoluzione stia nel:

  1. – riassoggettamento della BC sotto il controllo democratico del 99%, e nella
  2. – riattivazione delle manovre ESPANSIVE pro99%.

Differentemente il sistema economico rimane intrappolato in un circolo vizioso che alimenta gli squilibri che riconducono gli Stati in conflitto/guerra.       C. M.

Scritto da: Collage realizzato coi capoversi salienti tratti degli articoli sul sito MoviSol
Fonte: Link articoli integrali dal sito MoviSol  “La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un’economia nazionale” e “Perché occorre abolire il Fondo Monetario

 

 

Nota Bene: Tutti gli articoli presenti all’interno del sito “CRISTIAN MINERVA”, sono stati elaborati sulla base di pubbliche informazioni comunemente reperibili sul web (e dunque considerate di pubblico dominio), e sono stati scritti avvalendosi di tutte le fonti a loro volta citate. 

—————————————

© 2012 Tutti i diritti riservati

Cristian Minerva

Maggiori informazioni https://cristianminerva.webnode.page/quadro-storico/storia-deregulation-finanziaria/