Anni ’20

Sequenza degli eventi (in ordine cronologico):

  • IPERINFLAZIONE DI WEIMAR (1919-1923);
  • SOPRAVVENTO DEL LIBERISMO ANNI ’20;
  • LA “GRANDE DEPRESSIONE” (1929);

 

 

IPERINFLAZIONE DI WEIMAR (1919-1923):

Questo è l’evento che più di ogni altro viene utilizzato in modo del tutto improprio e gratuito per speculare sul terrore del pericolo dell’inflazione.
E’ doveroso per tanto fare chiarezza sul caso per far comprendere una volta per tutte ai lettori come queste estremizzazioni siano inapplicabili alle circostanze odierne risultando essere puro TERRORISMO MEDIATICO a scapito dei cittadini.
Già durante la “Grande guerra” per fronteggiare l’immane sforzo bellico, la Germania si trovò a dover immettere nella propria economia una notevole quantità di denaro che sin da subito cominciò a pregiudicare l’equilibrio del sistema monetario tedesco.
La situazione precipitò nel momento in cui la Germania si trovò a perdere la “Grande Guerra” incombendo così nella drammatica situazione, non solo di aver messo in circolo una quantità di banconote che per contro non trovavano più una corrispondenza in beni, prodotti e servizi distrutti dalla guerra stessa, ma in più il “Trattato di Versailles” (su pressione tra l’altro dei banchieri ebrei come i Rothschild), andava ad attribuire ai tedeschi la responsabilità di tutti i danni dell’intero conflitto bellico  oltretutto da risarcire in oro ed in un tempo pressochè limitato per la portata dell’impegno economico.
Questa decisione del risarcimento di tutti i danni fece esplodere il malcontento della classe operaia tedesca che per protesta mise in atto una serie di scioperi a boicottaggio della produzione nazionale, che nel giro di poco portarono la Germania ad essere insolvente coi suoi creditori, Francia in primis.
Fu così che la Francia occupò il distretto industriale tedesco della Ruhr a cui i cittadini-operai tedesche risposero con una “rivoluzione passiva” di sciopero ad oltranza che bloccò completamente la pruduzione tedesca per ben 8 mesi consecutivi.
La Germania si trovò così a battere moneta, da una parte per pagare i debiti di guerra, dall’altra per erogare gli stipendi statali dei suoi operai che nel frattempo avevano smesso di produrre, così che la mancanza di prodotti interni innescò una drammatica escalation dei prezzi che diede luogo alla famosa IPERINFLAZIONE WEIMARIANA.
Oggi l’Italia non ha alcun debito di guerra da dover pagare a nessuno (il debito pubblico oggi più grande al mondo, quello del Giappone di 240% di rapporto debito sul PIL il quale tra l’altro non sarebbe neanche un vero debito, non arriva neanche lontanamente a sfiorare l’entità di una spesa pubblica come quella di Weimar che comprendeva la ricostruzione di mezzo continente); attualmente abbiamo addirittura un eccesso di produzione rispetto al denaro circolante (motivo della recessione), per tanto chiunque si prostrasse a diffondere il panico profetizzando l’avvento di fantomatiche IPERINFLAZIONI qualora l’Italia dovesse battere moneta per fronteggiare la crisi o per affrontare un’eventuale sganciamento dall’Unione Monetaria Europea, deve essere contestato a gran voce (qualsiasi riferimento ad Oscar Giannino di radio 24, è miratamente voluto).

 

 

SOPRAVVENTO DEL LIBERISMO ANNI ’20:

Dopo la prima guerra mondiale gli Stati Uniti erano diventati la prima potenza economica mondiale ed avevano raggiunto livelli di ricchezza molto più alti di quelli dell’Europa. Fra il 1922 e il 1928 la produzione industriale era cresciuta del 64% rispetto al magro 12% del decennio precedente. La diffusione della seconda rivoluzione industriale implicò produzione di massa in tutti i settori mentre la nascita di nuove forme di distribuzione, associata a moderne tecniche pubblicitarie e alla possibilità di acquistare i prodotti a rate, favorì il consumo di massa.

Di fronte a questa imponente crescita economica i presidenti repubblicani Warren G. Harding, Calvin Coolidge e Herbert Hoover agirono sulla base di un dogma classicamente liberista: lo Stato doveva fare un passo indietro di fronte agli interessi privati. Pertanto essi, per favorire gli investimenti:

  • rinunciarono a qualsiasi forma di controllo sulle grandi concentrazioni finanziarie emergenti;
  • diminuirono la spesa pubblica;
  • ridussero al minimo le imposte sui redditi;
  • mantennero basso il tasso di interesse, in modo da favorire l’accesso al credito da parte delle imprese.

Nel corso degli anni venti l’investimento in borsa era diventato un fenomeno di massa: sempre più persone investivano i propri risparmi acquistando azioni per poi rivenderle poco dopo incassando la differenza. Nel 1925 nella Borsa di New York si trattavano 500.000 azioni salite a 1.100.000 nei primi mesi del 1929. Inoltre, fra il 1927 e il 1929, il valore delle azioni raddoppiò.

Mentre una parte della popolazione investiva fiduciosa in borsa, milioni di americani vivevano in condizioni di sofferenza: i salari degli operai crescevano ad un ritmo molto più blando della produzione e gli agricoltori dell’est assistevano impotenti ad una drastica discesa dei prezzi dei prodotti agricoli, causata dalla forte sovrapproduzione. L’aumento del reddito e della prosperità aveva coinvolto solo una parte della popolazione (ad esempio il 5% degli statunitensi possedeva un terzo dell’intero reddito nazionale), mentre il 71% della popolazione possedeva un reddito annuo inferiore a 2500 dollari l’anno, lo stretto necessario per vivere in maniera dignitosa. Ciò significava che la maggioranza degli americani, pur avendo migliorato la propria condizione, non era ancora in grado di assorbire tutta la produzione industriale e agricola. Altro elemento che stava caratterizzando l’economia statunitense di quel periodo storico, era la fusione delle banche fra di loro nella così detta Banca Universale in cui le 2 differenti tipologie di banche, quella commerciale e quella d’affari, si ritrovavano ad essere un tutt’uno.

L’euforia speculativa di Wall Street crollò improvvisamente il 24 ottobre 1929 (il “giovedì nero”). La borsa aveva ormai perso ogni contatto con la realtà: improvvisamente furono vendute milioni di azioni con un ribasso delle quotazioni apparentemente inarrestabile. I guadagni di mesi scomparvero in poche ore, mandando sul lastrico centinaia di migliaia di risparmiatori grandi e piccoli. Il forte periodo di depressione che seguì provocò un forte aumento della disoccupazione, il crollo dei consumi e della produzione industriale. Il tracollo delle importazioni, inoltre, colpì anche gli stati che esportavano materie prime negli Stati Uniti (ad esempio il Cile che forniva rame agli USA).  Vedi voce “New Deal” su Wikipedia.

 

 

LA “GRANDE DEPRESSIONE” (1929):

Già nel ’29, la grave crisi economica passata alla storia con l’appellativo di “Grande Depressione”, fu in gran parte frutto degli squilibri monetari generati dalla deregolamentazione del sistema bancario coi relativi mercati finanziari, i quali produssero la creazione e successivo scoppio di una gigantesca bolla finanziaria speculativa, che a sua volta trascinò nel baratro l’intera economia.
Il meccanismo della crisi è esattamente lo stesso di oggi:
Le Banche convenzionali che detengono i risparmi dei cittadini, invece che reimmettere in circolo tali risparmi sotto forma di credito alle imprese produttive, investono i soldi nei ben più redditizi mercati finanziari a loro volta DEREGOLAMENTATI, i quali, come sappiamo, producono nulla in contropartita (Nota: oggi in Europa accade lo stesso: l’economia reale è in crisi, Draghi stampa i soldi del Quantitative Easing, li mette nelle mani delle banche comprando loro i titoli di Stato che hanno in pancia, e poi queste invece che impiegarli nell’economia reale, li investono in finanza).
In tale sistema, i mercati finanziari, cominciano progressivamente ad attirare verso di se gran parte delle risorse finanziarie disponibili sul territorio, all’interno di un’economia fittizia che, a causa dello sviluppo dei prodotti finanziari complessi/derivati legalizzati dalle deregolamentazioni neo-liberiste, arriva ad espandersi in maniera esponenziale fin ben oltre la reale capacità economica del sistema stesso.
L’economia fittizia cresce, cresce, cresce, fino quando la bolla speculativa non raggiunge il suo massimo apice ed esplode.
Ciò  fa si che tutte le persone che avevano investito i loro soldi nell’economia fittizia dei mercati finanziari, una volta esplosa la bolla, si trovino improvvisamente a perdere i loro risparmi, a favore delle ristrette elites che hanno condotto i giochi speculativi e per questo hanno invece saputo/potuto spostare i propri capitali al riparo al tempo giusto poco prima che la bolla scoppiasse.
L’economia reale a questo punto rimane squilibrata dal fatto che, a fronte di una data produzione presente sul mercato, non corrisponde più un’altrettanta presenza di moneta bruciata dall’esplosione della bolla speculativa.
Si innesca così un circolo vizioso in cui le imprese non trovando più risorse finanziarie bruciate dalla bolla (Nota Bene: Quando si dice “bruciate”, significa “rastrellate” nelle mani di pochissimi soggetti), sono costrette a tagliare sui costi dei salari, degli stipendi, e sui posti di lavoro, facendo  così calare il potere di acquisto dei cittadini che si trovano a loro volta a comprare meno, le aziende dunque vendono meno riducendo i loro introiti che costringe le stesse a tagliare e licenziare ancora di più… e così via, fino a paralizzare completamente il sistema.
La grande depressione si risolse con l’attuazione del New Deal da parte dell’allora presidente Roosevelt.

 

 

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Cristian Minerva